giovedì 31 marzo 2011

per chi vuole leggere......STORIA DELL'ETICA.

L'etica nel modo di produzione capitalistico attuale integralmente ed inaspettatamente postborghese e postproletariopubblicata da Maria-Cristina Serban il giorno venerdì 1 aprile 2011 alle ore 1.32
Il momento "speculativo" del profilo complessivo della riproduzione capitalistica finalmente globalizzata è il più significativo e rivelativo dei tre momenti della triade dialettica, perché qui tutti i "figli pendenti" dei due momenti precedenti vengono finalmente riattaccati ed il significato unitario può finalmente specchiarsi in se stesso (speculum, donde il termine "speculativo").
Ovviamente, la comprensione intuitiva olistica immediata di questa realtà, o più esattamente della "razionalità di questa realtà", è possibile soltanto a chi abbia compreso prima la dinamica necessaria di questa realtà stessa, e quindi la logica hegeliana della storia, cosa del tutto impossibile per chi si è accodato in modo subalterno alla presente "antipatie verso Hegel".
Chi invece sfugge o è sfuggito in tempo a questa antipatia compulsiva è in grado di seguire la mia linea di ragionamento, anche se ovviamente può benissimo non condividerla in tutto o in parte.
Ma i saggi non vengono scritti per essere "condivisi". Se questo avviene, è per un felice evento "collaterale". I saggi vengono sempre scritti alla luce del detto di Rousseau, per cui è meglio enunciare un paradosso che ripetere un pregiudizio.

Nel primo momento triadico, la cosiddetta Tesi, il modo di produzione capitalistico si è formato per ragioni economiche strutturali (che Marx ha spiegato in modo sostanzialmente esatto, per cui non ha senso che le ripeta qui in modo scolastico), ma queste ragioni economiche strutturali sono state "raddoppiate" attraverso la proposta di un'unificazione universalistica del pensiero.
Vi è infatti ontologicamente un'unità necessaria fra elemento ideale ed elemento materiale, anche se astrattamente l'elemento materiale ha primato che si tratta di diagnosticare con esattezza per non cadere nell'economicismo.
Nel secondo momento triadico, la cosiddetta Antitesi, il modo di produzione capitalistico si articola attraverso la dicotomia dialettica della contraddizione fra le due classi fondamentali, la Borghesia ed il Proletariato.
In questa fase il pensiero filosofico è dominato dal rispecchiamento della dialettica dicotomia oggettiva, ed è caratterizzato dall'incontro fra la lotta per il riconoscimento del lavoro del Servo (lato proletario) e dall'elaborazione universalistica della coscienza infelice (lato borghese). L'idealismo classico tedesco, in particolare la successione dei tre più grandi idealisti (nell'ordine Fichte, Hegel e Marx), ha compiutamente elaborato questa sintesi dialettica, ed ecco perché resta tuttora il punto più alto in assoluto raggiunto dalla tradizione filosofica occidentale (chi pensa che distinti signori come Nietzsche o Heidegger lo abbiano "superato" non è in grado di distinguere fra mode passeggere e congiunturali e tendenze di fondo di lunga durata). La fase dialettica è recentemente tramontata, almeno nella vecchia forma (ma non per sempre), perché i due poli opposti in correlazione essenziale della dialettica stessa (la Borghesia ed il Proletariato, appunto) si sono consumati progressivamente fondendosi insieme.

Per riprodursi, infatti, il modo di produzione capitalistico non ha assolutamente bisogno della riproduzione dell'esistenza distinta ed opposta di Borghesia e di Proletariato, ed è anzi fortemente indebolito dalla loro esistenza, per cui la loro estinzione progressiva anziché indebolirlo lo rafforza in modo inaudito.
Come ha a suo tempo chiarito Marx, che resta a tutt'oggi insuperato, il modo di produzione capitalistico ha ovviamente bisogno, da un lato, di agenti imprenditoriali della produzione capitalistica, e dall'altro di un esercito industriale di riserva che fornisca la forza-lavoro necessaria allo scambio fra lavoro e capitale. Il lettore non mi fraintenda: su questo punto io resto un marxista ortodosso, e non credo ad un mondo integralmente automatizzato in cui le macchine producono da sole l'intera produzione sociale in modo che le nuove moltitudini incazzate possano vivere nell'ozio all'ombra del General Intellect.
Il capitalismo si riproduce tutt'ora, ed anzi ancora più di prima, attraverso lo scambio ineguale fra lavoro sfruttato e capitale. Ma, appunto, gli agenti imprenditoriali della produzione capitalistica non coincidono necessariamente con una classe sociale unitaria denominata "borghesia", esattamente come l'esercito industriale di riserva non coincide necessariamente con una classe sociale unitaria denominata "proletariato".
Nella loro lotta dialettica il proletariato e la borghesia indeboliscono la normale riproduzione capitalistica, a causa delle ragioni "ideali" esposte prima, e allora bisogna ficcarsi bene in testa che la logica della riproduzione capitalistica solo superficialmente risiede nella cosiddetta "vittoria" della borghesia sul proletariato (anche se da un punto di vista fenomenico solo questa è visibile), ma nella sua più intima essenza consiste nella progressiva sparizione di entrambe le fastidiose classi "dialettiche" in lotta.

Guardandosi allo specchio (speculum) nella sua sintesi speculativa, il modo di produzione capitalistico giunto al suo "concetto" (Begriff) non vuole più vedere in questo specchio due personaggi rissanti, e cioè la borghesia e il proletariato, ma vuole vedere unicamente se stesso in forma finalmente purificata, e cioè la Merce. La merce, naturalmente, c'era già negli interstizi economici di tutti i modi di produzione precedenti, a cominciare dalle antiche città mesopotamiche studiate da Karl Polanyi. Ma solo in questa terza ed ultima fase triadica dello sviluppo dialettico del modo di produzione capitalistico la Merce diventa finalmente l'unica sostanza che tiene insieme la sintesi sociale complessiva.
Infatti la merce pura non è né borghese né proletaria. Per questa ragione il vero sviluppo del capitalismo non è alla lunga compatibile con il mantenimento di scissioni sociali extra-mercantili, come il sessimo maschilista o il razzismo bianco discriminatorio. Queste scissioni sociali extra-mercantili indeboliscono il libero scorrimento totalitario della merce stessa, e devono quindi essere via via eliminate.
È questa la ragione per cui il politicamente corretto, che illegalizza eticamente ogni forma di sessismo e di razzismo in nome di un'egemonia incontrastata della merce pura, asessuata e priva di pregiudizi razziali, sostituisce gradatamente ma anche implacabilmente tutto il precedente contenzioso dialettico che aveva nutrito nel secondo stadio dello sviluppo capitalistico il liberalismo censitario, la democrazia diretta popolare, il fascismo, il comunismo, ecc.
Il politicamente corretto, infatti, è per sua natura un pensiero integralmente privo di dialettica, perché intende impedire anche solo l'enunciazione verbale di possibili contraddizioni, e promuove un mondo simbolico normalizzato in cui tutte le discriminazioni, all'infuori di quella derivante dagli spaventosi differenziali di potere, consumo e reddito, vengono demonizzate.

Giunto al suo concetto, e superati i momenti dell'essere (unificazione simbolica dell'umanità) e dell'essenza (dispiegarsi della contraddizione dialettica fra le due polarità in correlazione essenziale), il capitalismo si specchia (speculum) esclusivamente nella merce.
Certo, siamo soltanto all'inzio di questo processo, ma esso è già ben visibile.

Non ha dunque molto senso continuare a ripetere i vecchi mantra sociologici per cui il proletariato "si imborghesisce" attraverso la concentrazione oligolipolistica delle imprese.
Certo, questo è ciò che appare in supeficie se ci limitiamo a definizoni puramente "catastali" della borghesia o puramente "fiscali" di proletariato. In realtà, ciò che superficialmente appare come un doppio convergente processo di proletarizzazione (dall'altro) e/o di imborghesimento (dal basso) è qualcosa di ben diverso, e cioè la fusione progressiva delle due precedenti classi dicotomiche. Ancora una volta, a scanso di equivoci, questo non significa per nulla, al contrario, un progresso verso una maggiore eguaglianza.
Il capitalismo senza classi, post-borghese e post-proletario, giunto alla forma pura e speculativa del proprio concetto, è forse la società più diseguale, feroce e disumana della storia dell'umanità, quella con i differenziali di consumo, reddito e potere più vergognosi e provocatori. Ma, appunto, i differenziali non sono identità classiste collettive.

Il cosiddetto pensiero unico di impronta economica neoliberista, amato soprattutto dalle cosiddette "destre", ed il cosiddetto politicamente corretto di impronta politico-culturale, amato soprattutto dalle cosiddette "sinistre", sono in realta una sola ed unica concrezione ideologica di tipo sistemico, che deve appunto rispecchiare simbolicamente una società privata della contraddizione dialettica fra due opposte entità dicotomiche. Osservata dal punto di vista della lunga durata del pensiero filosofico, e quindi anche etico, questa omogeneizzazione simbolica della società sotto il monoteismo idolatrico del Mercato e della Merce e caratterizzata dalla sostituzione della coppia Hegel-Marx con la coppia Heidegger-Nietzsche. Adesso è necessario disegare le caratteristiche più importanti di questo tema cruciale. Per quanto riguarda la prima coppia dialettica, si tratta in estrema sintesi di un rifiuto radicale di Hegel e di una neutralizzazione di Marx. Ho già detto che l'antipatia verso Hegel e l'infallibile cartina di tornasole per diagnosticare l'odio verso la dialettica, non importa se questo odio viene da "destra" o da "sinistra", da amanti della filosofia analitica anglosassone o da attardati allievi attempati di Colletti e/o di Althusser, ecc. Hegel è respinto perché viene individuato come l'ultimo ed estremo difensore della metafisica, questo ferro vecchio premoderno che deve essere prima "storicizzato" e poi gettato nella pattumiera della storia (e su questo c'è solo l'imbarazzo della scelta fra tutte le jet-star del circo filosofico normalizzato di oggi, da Popper a Rorty a Habermas). La figura di Marx è invece piu recente ed inquietante, ed allora la tattica della sua neutralizzazione deve ancora dividersi dialetticamente in due, fra chi lo denuncia come ispiratore dell'utopia totalitaria del comunismo e chi invece lo considera più benevolmente come profeta della globalizzazione in corso. Il succo del problema però sta in ciò, che senza un distacco palese da Hegel e da Marx (e soprattutto da Hegel) non è possibile stabilire la comune dittatura del pensiero unico e del politicamente corretto.

Ora disegnerò brevemente il profilo della coppia baffuta Sulla coppia Heidegger-Nietzsche come indiretti ideologi del presente. Non parlo ovviamente di loro - conviene dirlo per non farsi subito assalire dai loro numerosissimi fans - come filosofi, ma semplicemente dell'uso ideologico che ne viene fatto. Heidegger e il profeta dell'avvento irresistibile del regno della Tecnica, che come è noto non significa isnieme di tecnologie applicate alla produzione industriale, ma avvento di un meccanismo riproduttivo impersonale onnipotente (il cosiddetto Gestell), che ad un certo punto si riproduce da solo e diventa impermeabile all'intervento di scelte umane alternative e libere.
Nietzsche è l'annunciatore di un nuovo tipo umano (il cosiddetto Übermensch), che si lascia alle spalle le illusioni religiose, i pregiudizi etici e più in generale le grandi-narrazioni ideologiche di legittimazione di obiettivi profetici ed emancipatori in nome di una riconciliazione con il mondo cosi com'è, da vivere in modo terrestre e non più "celeste".

La fusione di questi due annunci da luogo ad una formula che in sintesi riassumerei cosi: "Non c'è più niente da fare, ma possiamo divertirci lo stesso". Cerchiamo di disaggregare razionalmente questo mantra di legittimazione ideologica del presente stadio del capitalismo.

Il primo elemento ideologico, che è assolutamente fondante ed originario, e che proviene da una interpretazione disincantata del concetto di Tecnica in Heidegger, potremo continuare a chiamarlo noncepiunientedafarismo.
Il noncepiunientedafarismo è ovviamente una formulazione sofisticata per classi medie, più esattamente per la nuova classe media globale semicolta, e volendola disaggregare nei suoi termini teorici potremo riassumerla cosi: ci fu un tempo la religione che dava illusione e conforto ai poveri pecoroni ignoranti dell'astrofisica e della psicoanalisi; venne poi il marxismo con la sua applicazione della dialettica servo-signore ai conflitti umani; ma oggi tutte queste metafisiche progettuali sono state svuotate dall'avvento inarrestabile della Tecnica Planetaria, ed il succo del discorso e che non c'è più niente da fare, anche se è stato bello sognare (come diceva una vecchia canzone heideggeriana italiana della mia metafisica giovinezza).

Naturalmente, le plebi deculturalizzate continuano a rivolgersi a Padre Pio ed a Vanna Marchi. Ma la gente che Stefano Benni definirebbe di una certa Kual Kultura e che legge gli inserti-donna delle gazzette del pensiero unico e del politicamente corretto sa bene che, nonostante non ci sia più niente da fare, è egualmente possibile divertirsi un poco lo stesso.
Il capitalismo globalizzato offre infatti, a chi se lo può permettere (ed indiscutibilmente nelle metropoli capitalistiche si tratta della maggioranza della popolazione, dai manager alle parrucchiere), viaggi facili, permanenze esotiche, inglese turistico, ristoranti etnici, droga leggera depenalizzata, badanti moldave a basso prezzo, circenses gratuiti modello Baricco-Veltroni, calcio truccato, sistema scolastico facilitato in cui sono promossi anche gli analfabeti, rituali periodici di indignazione e di linciaggio simbolico del bestione di turno (Craxi, Berlusconi, Moggi, domani chi lo sa!), rincoglionamento televisivo assicurato, PACS tra Gesù e la Maddalena, cultura ridotta a taglia, cuci, incolla senza neppure leggere prelevando da una Internet senza fondo, ecc. In questo mondo integralmente "democratico" (nel senso di Tocqueville, non in quello di Lenin) è vero che non c'è più niente da fare, anche se è stato bello sognare, ma con un reddito sia pure flessibile, modesto e precario ma reale è possibile egualmente divertirsi lo stesso.
Non esiste più la democrazia, sostituita dal potere anonimo di oligarchie invisibili protette dai bombardieri atomici dell'impero impazzito, ma e stata ormai liberalizzata integralmente la scopata all'ombra del potere.
Chi non ha ancora capito che dietro il battage drogato sul Codice da Vinci ci sta questo è invitato a ristudiare la storia del concetto di ideologia in Marx. Il lettore dirà che con questa storia dei Dan Brown io sono un po' fissato, e non intendo affatto smentirlo. Meglio fissato che inconsapevole.

Questo nuovo capitalismo speculativo senza classi non esisterebbe senza il felice esito (provvisorio) della metabolizzazione progressiva delle contraddizioni della seconda fase "dialettica" del suo sviluppo.
L'aver "digerito" il liberalismo censitario, la socialdemocrazia redistributiva, il fascismo e soprattutto il comunismo storico novecentesco (1917-1991) lo ha rafforzato in modo inaudito. Senza questa metabolizzazione e questa digestione, e senza il contributo del mercenariato nichilista proveniente dall'ultima fase putrefattiva del movimento comunista (mercenariato da distinguere borgesianamente in due grandi categorie, con baffi e senza baffi) non sarebbe stata forse possibile questa evoluzione dal momento dell'antitesi a quello della sintesi speculativa. Per capirlo bene occorre discutere separatamente i due processi convergenti che definiremo brevemente la plebeizzazione consumistica del proletariato e soprattutto la devitalizzazione cosmoteorica della borghesia.

Iniziamo dalla plebeizzazione consumistica del proletariato.
A scanso di equivoci fastidiosi, dichiaro subito solennemente che non uso il termine "plebe" in senso dispregiativo e diffamatorio, come se i "plebei" dovessero essere giudicati moralmente e culturalmente peggiori dei patrizi, dei nobili o dei borghesi. Non mi sogno neppure di farlo. Dicendo "plebe" uso solo un vecchio termine storico consolidato per indicare gli aggregati popolari tipici del modo di produzione schiavistico e poi di quello feudale europeo, nella misura in cui questi aggregati popolari non davano luogo ad un'identita storica unitaria di tipo dialettico. Detto in altri termini, gli aggregati popolari definibili come "plebe" sono semplicemente insieme sociali che precedono storicamente la dialettica "moderna" fra la lotta per il riconoscimento del lavoro e l'elaborazione universalistica della coscienza infelice. All'interno di quello che ho definito il secondo momento triadico dello sviluppo del modo di produzione capitalistico le suddette "plebi", in particolare quelle provenienti dalle precedenti comunita contadine e artigiane, furono incorporate nel sistema di fabbrica per iniziativa dei settori imprenditoriali protoborghesi. In questo maestoso processo di incorporazione nel sistema di fabbrica le precedenti "plebi" furono costrette a passare dalla prima resistenza di tipo comunitario e precapitalistico (esempleramente testimoniata dall'eroico luddismo inglese di inizio Ottocento) ad una vera e propria unificazione ideale e materiale, il Proletariato nel senso preciso del termine. Ancora una volta, ripeto che il Proletariato non e affatto soltanto un'unificazione filosofica e dialettico-dicotomica di Marx, ma e un prodotto storico-materiale unificato dalla produzione capitalistica. Dal punto di vista delle classi dirigenti capitalistiche il Proletariato e mille volte piu pericoloso delle "plebi" precedenti, caratterizzate da insurrezioni spesso sanguinose ma sempre destinate a ripiegamenti nella subalternita.
E dunque normale e del tutto razionale che la strategia storica seguita dalle classi dirigenti capitalistiche sia stata per due secoli la ri-plebeizzazione del proletariato. Certo, questa riplebeizzazione non poteva restaurare le vecchie plebi precapitalistiche precedenti, ma doveva dar luogo ad una nuova plebe inedita ma comunque frammentata, dispersa, debole e impotente.

Questo processo di riplebeizzazione del proletariato puo essere distinto schematicamente in due momenti.
In un primo momento, sostanzialmente ottocentesco e primonovecentesco, la strategia di riplebeizzazione del proletariato fu perseguita con il doppio processo dell'economicizzazione redistributiva del conflitto sindacale, prima, e della nazionalizzazione imperialistica delle masse, poi. L'economicizzazione redistributiva del conflitto sindacale lasciava integralmente in mano alla borghesia le scelte strategiche del cosa produrre e della creazione dei valori morali dell'aggregazione sociale, mentre la nazionalizzazione imperialistica delle masse riduceva le masse stesse a carne da cannone ed a fanteria coloniale razzista. La grandezza storica di Lenin, in questo senso ancora piu grande di Marx, sta proprio nell'aver cercato di ridefinire strategicamente il Proletariato tenendo conto di entrambi questi fattori.

In un secondo momento, grazie alla produzione industriale di massa di tipo taylorista e fordista, la plebeizzazione del proletariato fu perseguita attraverso l'incorporazione consumistica delle masse nel sistema degli oggetti e dei simboli. A me sembra che, nonostante i virtuosi dinieghi "proletari" dei gruppetti fondamentalisti marxisti questa incorporazione consumistica sia oggi sostanzialmente riuscita, il che sta storicamente realizzando appunto la riplebeizzazione del proletariato. Il socialismo reale, o comunismo storico novecentesco, non e stato distrutto ne dalla minaccia atomica di Reagan ne dalla ridicola predicazione mariana del papa polacco, ma e stato disintegrato e svuotato dall'immaginario consumistico plebeizzante occidentale. Marcuse e Adorno lo avrebbero capito molto bene, ma lo avrebbero capito perche questi due pensatori, che non avevano mai avuto nulla a che fare con le due caricature filosofiche del materialismo dialettico orientale e dello storicismo ottimistico occidentale, erano appunto interni alla dialettica della coscienza infelice borghese.

Il riferimento a Marcuse e ad Adorno ci permette di passare all'altro corno del dilemma, e cioe alla devitalizzazione cosmoteorica della borghesia. La riplebeizzazione consumistica del proletariato, infatti, non sarebbe di per se bastata ad attuare il superamento della seconda forma triadica dello sviluppo capitalistico, perche avrebbe sempre mantenuto in qualche modo la matrice teorica della coscienza infelice della mancata realizzazione dell'universalismo borghese. Era stata questa la matrice di Marx, e trovo del tutto razionale che i padroni del pianeta cerchino di prevenire la nascita di altri Marx, e soprattutto di altri Lenin.

La strategia di prevenzione nei confronti del ripresentarsi di una nuova forma dialettica del pensiero viene oggi attuata attraverso quella che ho definito la devitalizzazione cosmoteorica dell'identita borghese. Questa "devitalizzazione" consiste, come dice la parola stessa, nel recidere la parte "vitale" del pensiero borghese, e cioe il sorgere della coscienza infelice sulla base della presa di coscienza del mancato universalismo del pensiero borghese stesso. E cosi come i denti vengono "devitalizzati" per far si che sparisca l'eventuale dolore, dolore che e pur sempre sintomo del fatto che il dente e ancora "vivo" e vitale, nello stesso modo il pensiero borghese viene devitalizzato togliendogli appunto la dialettica, che e anche un segnalatore del dolore della coscienza infelice dell'universalismo mancato. Ma a questo punto la Borghesia vera e propria non c'e piu, e restano solo gli agenti imprenditoriali della riproduzione capitalistica, e cioe quegli zombies che vediamo in televisione, e che ci dicono che non esistono piu i popoli, i paesi, le nazioni, le lingue, le culture, ma esistono soltanto piu le Imprese, l'Azienda Italia, piu tutta la fighetteria sponsorizzata del delirante mondo del made in Italy.

Ho usato il termine un po' improprio (lessicalmente assai piu greco che italiano) di "cosmoteorico" per connotare una concezione globale del mondo fondata su di una immagine complessiva della razionalita. In questo senso, quella borghese e una vera e propria cosmoteoria, in quanto e strutturata organicamente su di una unificazione universalistica globale del mondo naturale e sociale, su cui e stato poi innestato in un secondo momento un ripensamento problematico basato sull'elaborazione della coscienza infelice della stessa unificazione universalistica globale. La devitalizzazione deve dunque colpire al cuore questa cosmoteoria, in modo che il capitalismo, diventato puro e "speculativo", si possa fondare unicamente sulla forma di merce generalizzata, sulla sostituzione integrale della crematistica all'economia e sull'adozione da parte del ceto intellettuale colto e soprattutto semicolto del noncepiunientedafarismo, infiorettato o meno da rimembranze storiche, giullarate alla Benigni, ecc. E chiaro, peraltro, che questo processo di devitalizzazione cosmoteorica e ancora in corso (anche se gia purtroppo a buon punto), e non si e del tutto realizzato.

Nello stesso tempo, siamo gia abbastanza avanti nella formazione di un mondo globalizzato di cui gli agenti imprenditoriali della produzione capitalistica hanno sostituito la buona vecchia borghesia dialettica ed un generico multiculturale esercito industriale di riserva su basi flessibili e precario (batezzato pudicamente e demenzialmente "posfordista") ha sostituito il buon vecchio proletariato. Si fa avanti un mondo culturalmente desertificato, anche se pieno di caffe letterari integrati da ristoranti etnici, un mondo che avra comunque nuove contraddizioni. Ma queste contraddizioni avranno probabilmente all'inizio un carattere etico, concernente la problematizzazione morale del nuovo costume.
Quello che e sicuro, a mio avviso, e che il sogno capitalistico di un mondo senza contraddizioni restera un'utopia negativa a tutti gli effetti, perche il dominio generalizzante della merce produce contraddizioni di tipo nuovo che si trattera di diagnosticare il presto possibile. In proposito, una riscrittura integralmente alternativa del nostro passato storico e una precondizione perche si possa produrre quello spaesamento integrale da cui forse, senza alcuna sicurezza di riuscita, potra sorgere una nuova etica della resistenza.

Costanzo Preve, Storia dell'etica

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